In breve, venti giorni fa, durante una tre-giorni a Monaco di Baviera, incontrammo un gruppetto di giovini locali intenti a festeggiare un addio al celibato e, pertanto, piuttosto allegrotti. Fu l’occasione per scambiarsi un paio di chiacchiere in un inglese approssimativo e per scattare qualche foto. Al consueto momento di scambio dei contatti per la condivisione delle fotografie, provammo a chiedere se di quel gruppetto qualcuno avesse un account Facebook. Inaspettatamente, non solo nessuno aveva Facebook, ma nessuno aveva mai sentito parlare del social network in questione.
Al contrario, tre giorni fa, su un espresso Milano – Lecce, il mio scompartimento, composto da sei italiani di ogni età e provenienza, conosceva perfettamente Facebook e cinque su sei (compreso un uomo sulla cinquantina) ne erano utenti.
In buona sostanza, mentre facebook è talmente diffuso in Italia da trainare, per certi versi, il mercato del traffico dati (tanto da spingere alcuni a sottoscrivere nuovi contratti di banda larga da rete fissa o di "Data Pack" da mobile), molte aziende tendono ancora ad affermare che il mercato tecnologico italiano non è sufficientemente maturo e, spesso, a causa dell'inadeguatezza del servizio di istruzione pubblica, colpevole di non impartire agli studenti le nozioni fondamentali per galleggiare sulla marea tecnologica odierna.
Ora, se da una parte è innegabile che l'istruzione italiana (specialmente nei primi cicli) sia carente in merito, il timore è che molti tendano a nascondersi dietro l'assolutizzazione di tale concetto. Ritengo infatti altrettanto vero che finora, tranne alcune eccezioni, aziende ed imprenditori italiani non siano stati in grado di comprendere a fondo la specificità del nostro mercato e, di conseguenza, non abbiano saputo proporre prodotti e servizi Web capaci di ottenere un adeguato successo commerciale.